Anna

I miei mostri.
Mi chiamo Anna, ho 29 anni. Sono una vittima di abusi.
La mia storia inizia il giorno in cui decido di iscrivermi a una scuola guida, di cui tutti parlano bene, in città.
Mia mamma e mio padre non sono d’accordo, vogliono che ne frequenti un’altra, che loro conoscono bene, perché ci lavora un amico di famiglia. Ma io ho 18 anni e la testa dura.
Il corso inizia, tutto procede bene con la teoria, ho un insegnante donna, molto brava.
Finita la prima parte, è il momento di iniziare le guide.
Alla prima lezione si presenta l’istruttore, lo immaginavo meglio. A pelle, non mi piace.
È un uomo di mezza età, grassoccio, piuttosto sciatto. La camicia un po’sbottonata e il pantalone con la cinta, sotto la pancia. Con atteggiamento arrogante, mi porge la mano, non mi guarda neanche in faccia, il suo sguardo è fisso sul mio seno.
Entro in macchina, aggiusto lo specchietto e tolgo il freno a mano. Il suo sguardo, ancora fisso sul mio corpo. Metto la prima e partiamo.
Durante il tragitto, invece di correggermi, con fare spavaldo, racconta aneddoti a sfondo sessuale, fa apprezzamenti di cattivo gusto. Forse pensa di essere simpatico, mi dico. Oppure interessante. Puzza pure d’alcool.
La cosa più stupida che riesce a dire è, «voi donne non capite niente, non sapete guidare, sapete solo essere brave a letto». Mi mette ansia, ha i modi tutt’altro che gentili.
Però, di fronte a lui, me sto zitta, intimidita, con la tessa bassa, lo sguardo sul volante, avverto un disgusto che mi fa venire un senso di nausea allo stomaco.
Nei giorni successivi, parlo con le altre ragazze che frequentano il corso e mi accorgo che è proprio un modus operandi, quello di questo soggetto.
Mi viene voglia di mollare tutto e dire fanculo alla patente.
Dopo un po’ di lezioni, però, succede che, ogni volta, quell’uomo losco, aspetta che tutte le altre mie compagne vadano via.
Restiamo sempre soli, sempre più spesso. Continua imperterrito a lanciare provocazioni. Non raccolgo, sopporto in silenzio. Non riesco a reagire, però. Prego che l’ora di lezione finisca, prima possibile.
Un giorno come tanti, la situazione degenera. Dopo aver esaurito la soddisfazione di mettermi in difficoltà, con quella stupida ironia, mentre stiamo provando a fare un parcheggio, in un posto isolato, quel mostro dalle sembianze umane, mi prende la mano e l’appoggia sul suo membro, poi si butta sul mio sedile e inizia a palparmi il seno.
Ansima, con la faccia da porco, viscido.
Io mi spavento, mi incazzo, gli allontano le mani e urlo «smettila, ma cosa fai? Mi fai schifo!» Ma per lui, le mie parole sono come aria. Continua imperterrito.
Queste situazioni si protraggono ad ogni lezione e ogni volta, sono sola. Ogni volta vorrei sprofondare, ma continuo a non reagire, mi fa paura.
Quando torno a casa, apro la porta, poggio velocemente le chiavi sul mobile dell’ingresso e voglio fuggire in camera. Mia madre, una volta, seduta in cucina, mi guarda e mi dice «Anna, cos’è quella faccia, che hai fatto?».
«Niente mamma, tutto ok» le rispondo, mentre guardo il pavimento.
La mia faccia parla, anche se io non voglio. Non ho il coraggio di raccontare cosa mi faccia quell’uomo.
Mi vergogno. Ho paura dei giudizi e del putiferio che può esplodere. E poi, non ho prove, né testimoni.
Non riesco a denunciarlo e questa terribile difficoltà, fa quasi più male della violenza.
Vorrei tanto che pagasse, quel mostro!
Nonostante tutto, termino il corso e prendo la patente. Nei giorni a seguire, ho l’ossessione di quello che quell’essere mi ha fatto. Come mi ha fatto sentire.
Prego che, prima o poi, qualcuno, con più coraggio di me lo denunci, io non riesco.
Ogni volta che abusa di me, sono in un vortice di paura, che mi rende inerme. Mi sento morire dentro. Violata nel mio profondo. Mi rifugio nel cibo, sfioro l’obesità.
Dopo tre anni, arriva il peggio.
Ho 22 anni e sono a cena, a casa di amici. Tutto è bello. La tavolata, le risate.
Siamo tutti insieme a ballare in giardino. È una serata estiva, siamo in campagna.
Mi sono presa una cotta per un ragazzo di 23 anni. È un po’ bullo, spaccone, però mi attira. Tutta la sera lo cerco con gli occhi, lui mi ignora.
Non è interessato a me. Mi vede brutta, piena di difetti.
Sono grassa, ho tanti kg di troppo. Mi abbuffo di cibo, di giorno e di notte, per riempire il vuoto che sento, costante.
Quella sera della festa è, però, tutto perfetto. Decido di fare un giro per la casa.
Lo cerco. Ad un certo punto lo vedo con un suo amico, in una stanza.
Mi dicono in coro. “Ehi Anna, vieni, vieni.” Entro, un po’ titubante.
Uno dei due si alza e va a chiudere la porta a chiave. La cosa mi appare strana, ma l’atmosfera è allegra. Loro fanno battute, ridiamo. È tutto nella norma, finché il gioco non prende una piega diversa.
Mi ritrovo stesa sul letto, con i due uomini che mi tastano il seno. Cerco di liberarmi, senza riuscire.
Mi dicono «stai tranquilla, ci stiamo solo divertendo». Invece, inizio ad avere paura.
Dopo un po’, il ragazzo che mi piace, si stacca dal mio seno e va verso le mie gambe. Mi slaccia i jeans, infila la mano negli slip. Mi ribello, cerco di liberarmi, non ci riesco.
Uno dei due continua a palparmi su tutto il corpo, mentre l’altro mi blocca le mani, per impedirmi i movimenti. Continuano, non si vogliono fermare.
Sono terrorizzata, non riesco a chiedere aiuto. Stanno per violentarmi, non ci posso credere. Dopo un po’ di minuti, che mi sembrano un’eternità, riesco ad urlare «lasciatemi stare! Volete finire nei guai?».
Quella frase mi salva, perché entrambi lasciano la presa.
Non appena si ritraggono, mi dimeno, tiro pugni e calci con tutta la rabbia che ho in corpo. Riesco a scappare, mi chiudo in bagno, piango in silenzio, per non farmi sentire.
Cerco di calmarmi, mi guardo allo specchio, ho tutto il trucco sceso. Prendo la carta igienica e, mentre ancora fatico a mantenere le lacrime, mi strofino con forza, pulisco il nero sotto gli occhi e esco. Torno alla festa, come nulla fosse. Non voglio far capire niente a nessuno.
Mi sento terribilmente in colpa. Come se fossi stata io a provocarli e a portarli a comportarsi in quel modo.
Non riesco a parlarne. Nemmeno con gli amici e la mia famiglia. Trattengo tutto dentro, fino ad esplodere.
Dopo questo episodio, la mia vita diventa un incubo.
Mi provoco ferite alle braccia, con un taglierino. Continuo a volermi punire. Ogni doccia che faccio, mi strofino forte la pelle, fino a farla sanguinare. Mi vedo e mi sento sporca. Mi faccio schifo.
Tiro i pugni al muro, mi procuro lividi alle nocche delle mani, che diventano viola.
Mangio, mangio, divoro di tutto, così tanto da arrivare a pesare 120 Kg, in pochissimo tempo.
Il cibo mi aiuta a calmarmi e mi fa da scudo agli uomini, che vedo come mostri.
Attraverso la strada verso auto a velocità sostenuta, provo ad andare a sbattere con la macchina contro qualche muro. Tento il suicidio in tanti modi; ma in ognuno fallisco e ringrazio Dio, se sono ancora qui.
Ci metto tanto tempo a guarire. Lacrime, rabbia e dolore. Tre anni in un centro, con psicologi e psichiatri che mi stanno vicino, che mi spiegano cosa ho subito e come ho reagito al trauma.
Abusi ripetuti e tentato stupro.
Mi fanno capire che non è stata colpa mia. Mi aiutano a rinascere, ad amare me stessa, mi forniscono strumenti per difendermi.
Oggi mi pento di non aver denunciato e vorrei aiutare le altre donne a trovare il coraggio di farlo subito.
La cosa più difficile, ma la più importante.
Ho deciso di regalare la mia testimonianza, senza vergogna. Voglio dare il mio piccolo contributo di sostegno. Spingere a lottare, a dire basta ma soprattutto a denunciare, la violenza subita, qualunque essa sia.
Ho finalmente la forza di combattere e voglio usarla, renderla utile, dare un senso alla mia storia.
Perché se ce l’ho fatta io ad uscirne, ce la possono fare tutte.
È ora di smetterla con le mancanze di rispetto verso il genere femminile.
Ci vogliono pene severe, per dare un segnale forte. Una donna che dice No! È No!
Non siamo oggetti a scopo sessuale. È ora che i mostri paghino. E che queste cose smettano di succedere.
Voi non siete uomini, siete bestie.
Ho creato un hashtag, la nuova parola d’ordine della mia vita. Un monito per tutte.
#maipiu’.
Per tutte le donne, Anna